Sul Carso Triestino le pietre sono modellate dal vento e dall’acqua che nel corso dei secoli hanno lasciato su di queste la loro impronta; si tratta di vuoti che hanno una forma, come se il vento avesse voluto mantenere vivo il ricordo del suo passaggio. Il rapporto tra elementi naturali, quali pietra-vento o pietraacqua, nella terra dell’artista è molto presente, soprattutto nelle zone carsiche. È un rapporto che lo ha sempre affascinato, sin da bambino ed è da bambino che, per gioco, ha iniziato a creare i suoi primi lavoretti con il marmo. Nella realizzazione di questa scultura ha voluto rappresentare il blocco di marmo, che prima di essere cavato se ne sta nel suo ambiente naturale a 160 metri di profondità ed è parte di una grande roccia, vicino al suo stato naturale. Su di questo ha modellato delle forme che danno l’idea del passaggio del tempo sulla sua superficie. Sul lato posteriore dell’opera ha creato un leggero movimento, una leggera forma anatomica col desiderio di far intuire a chi guarda che la pietra è organismo vivo. La tecnica di esecuzione di una scultura avviene solo “per via di levare” il superfluo dalla materia, come scriveva Michelangelo (e confermava il Vasari), ciò che si ottiene “per via di porre” è altra cosa: è modellato o assemblaggio.