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Diafane passioni

Inizio evento 16.07.2013 | Fine evento 03.11.2013


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Diafane passioni

Dalla metà del Cinquecento, per circa due secoli, la scultura in avorio fu apprezzata e ricercata dalle corti europee come una delle massime e più sofisticate forme di espressione artistica. 
I più importanti scultori del periodo barocco, sia in Italia che nei paesi transalpini e addirittura nelle colonie portoghesi e spagnole, si cimentarono in questa tecnica raffinatissima e difficile, che univa alla perizia dell’artefice la preziosità della materia prima. 
 
 
In tutta Europa, imperatori e granduchi, papi e principi, altissimi prelati e ricchi banchieri si contendevano l’opera degli scultori in avorio, e spesso formavano collezioni di capolavori eburnei, che andavano dagli esemplari figurativi veri e propri ai tour de force torniti. Questi ultimi univano al piacere del capriccio visivo il rigore scientifico del calcolo matematico.
 
 
 
L’Italia giocava un ruolo chiave per la più grande fioritura della scultura in avorio tra il Cinque e il Settecento: la seconda dopo quella gotica, che aveva avuto il suo centro a Parigi. Le zanne dell’elefante arrivavano in Europa attraverso le grandi città portuali, Venezia, Genova, e Napoli, con Roma i centri principali della lavorazione della preziosa ed esotica materia, ricercata particolarmente per la sua qualità mimetica di raffigurare l’incarnato umano. L’ammirazione per l’avorio nell’Italia del Sei e Settecento favorì inoltre il collezionismo di avori africani e indiani, oltre a quelli tardoantichi e medievali. Proprio a Firenze fra il  XVII e XVIII secolo si formarono le prime collezioni di avori di epoche passate, e proprio qui si pubblicarono i primi studi dedicati agli avori medievali.
 
 
Con Ferdinando I de’ Medici (1549-1609) a Firenze, ebbe inizio una delle più spettacolari collezioni di avori in Europa, che continuò ad arricchirsi fino al tramonto della dinastia, raggiungendo numerose centinaia di esemplari. Per quantità, per qualità ed importanza dal punto di vista storico artistico, la raccolta medicea raggiunse livelli pari solo a quelli della corte imperiale di Vienna e di quella principescahe di Dresda e di Monaco.
Coppe e rilievi, composizioni mitologiche e scene di genere, santi e ritratti di principesse, scarabattole e torri tornite: ogni aspetto dell’arte figurativa e astratta è riflesso nell’arte eburnea raccolta a Firenze.
La maggior parte degli avori dei Medici si trovano ora nel Museo degli Argenti a Palazzo Pitti, e costituiscono una delle grandi attrazioni nelle sale del pianterreno, dove il visitatore entra in un mondo magico di forme diafane, dalla grazia fiabesca.
 
 
Gli avori barocchi, nella loro importanza artistica internazionale, non sono mai stati oggetto né in Italia né all’estero di una grande esposizione, e questa rappresenta la prima occasione per rimediare a questa lacuna. Occasione che non è un caso venga colta a Firenze, al Museo degli Argenti, dove si trova la più estesa e formidabile raccolta storica di avori, composta da opere dei maggiori scultori in questa tecnica. Nella mostra “al nucleo fiorentino si aggiungono temporaneamente figure, vasi e oggetti oggi conservati nelle principali raccolte europee e americane, evocativi dell’abilità suprema che fu raggiunta specialmente in area germanica e mitteleuropea nell’età barocca, mettendo all'opera non solo gli artisti di corte – come il ‘nostro’ abilissimo Sengher – ma addirittura sovrani sperimentali e di talento, come lo Zar Pietro il Grande” (Cristina Acidini).
 
 
Una mostra di quasi centocinquanta pezzi, che unisce i tesori fiorentini a pregevoli esemplari provenienti dai più importanti musei stranieri e ad altri avori mai visti prima, custoditi in collezioni private, dà vita a un nuovo e spettacolare capitolo della storia dell’arte: un capitolo mai studiato prima, soprattutto nel suo aspetto “internazionale”, così peculiare del collezionismo mediceo.
La mostra si articola in varie sezioni che percorrono l’arte dell’avorio dal Quattrocento, quando catturò l’attenzione di Lorenzo il Magnifico, al maturo Rinascimento, fino all’esplosione del Barocco con opere degli scultori fiamminghi e tedeschi più famosi del periodo, da Leonhard Kern a François du Quesnoy, da Georg Petel a Balthasar Permoser.
La prima sezione è dedicata al momento della riscoperta dell’avorio come materia prima, e al collezionismo di avori in Italia – da due ‘olifanti’ congolesi (presenti nelle collezioni medicee dal Ciqnuecento) alle opere medievali, tra cui il Dittico appartenuto alla collezione di Lorenzo il Magnifico, che di recente è stato identificato all’Ermitage di San Pietroburgo e ritorna per la prima volta a Firenze, dopo più di cinquecento anni. In questa sezione vengono presentati anche alcuni capolavori dei primi centri di produzione della scultura in avorio del Cinquecento:  Venezia con opere di Francesco Terrilli e Roma dove i fiamminghi Niccolò Pippi e Jacob Cornelisz Cobaert furono attivi allo fine del secolo.
 
 
La sezione Geometria virtuosa. Gli avori torniti raccoglie particolari e spettacolari esempi della competizione tra i più importanti tornitori tedeschi nel creare in avorio le figure più complicate, piccoli miracoli di virtuosismo tecnico che univano simbologia a numerologia, geometria e filosofia. “Poliedri e sfere, scatole cinesi, variazioni sui cinque solidi della geometria greca sormontati da una guglia sottilissima e spiraliforme” (Marco Riccomini). L’inventore di questo tipo di oggetto da gabinetto delle curiosità – e allo stesso tempo all’altezza della ricerca matematica e ingegneristica dell’epoca – fu, alla fine del Cinquecento, proprio l’ italiano Giovanni Ambrogio Maggiore al servizio delle corti tedesche. Ben 18 i pezzi di questo genere esposti, appartenenti al Museo degli Argenti e pervenuti grazie al principe Mattias de’ Medici come parte del bottino catturato durante la Guerra dei Trent’anni: tra le altre, opere di Marcus Heiden e del suo allievo Johan Eisenberg, i migliori tornitori di avorio dell’età barocca.
 
 
La terza sezione, Artisti ultramontani in Italia. I protagonisti dell’avorio barocco espone tra gli altri capolavori di Leonard Kern e  Georg Petel i due grandi scultori attivi nella prima metà del Seicento nel sud della Germania. Le loro opere mostrano sensibili affinità con la cultura figurativa barocca italiana e testimoniano dei viaggi dei due artisti a Roma, Napoli, Genova e in Toscana, rivelando in particolare un debito con il linguaggio figurativo di Peter Paul Rubens. 
Si riuniscono inoltre per la prima volta opere di Justus Glesker – che nel Seicento era celebrato come uno dei migliori scultori del secolo – provenienti da musei nazionali e dall’Estero (Victoria and Albert Museum, Londra; Galleria Estense, Modena; Ermitage, San Pietroburgo; Bayerisches Nationalmuseum, Monaco di Baviera). Questa sezione esplora inoltre Genova come centro della scultura in avorio: il caposcuola Domenico Bissoni introdusse un’espressività estrema e un naturalismo inaudito nella raffigurazione della sofferenza e della morte, che incontrava particolarmente il gusto del territorio spagnolo, dove venivano spedite gran parte delle opere della scuola genovese. Anche il fiammingo François van Bossuit, forse il primo artista a cui sia stato dedicato un catalogo ragionato illustrato, è presente in mostra con opere di soggetto sacro e profano.
La quarta sezione, La fioritura dell’avorio tardobarocco al di là delle Alpi, unisce, tra l’altro, opere di Christoph Daniel Schenck (che formò il suo stile energico su modello di Francesco Mochi), e che tra l’altro offre l’opportunità di paragonare opere in diversi materiali, avorio e legno, di formato piccolo e grande. L’austriaco Balthasar Griessmann, attivo a Salzburg, e Ignaz Elhafen, attivo prima per la corte imperiale di Vienna e poi per il conte palatino Johann Wilhelm e sua moglie Anna Maria Luisa de’ Medici, svilupparono metodi innovativi e personali per utilizzare le incisioni – soprattutto italiane – come modelli per le opere.
Testimonianza in mostra ce ne darà il confronto diretto tra la grande incisione di Pietro Aquila del Ratto delle Sabine di Petro da Cortona e le varie versioni eburnee in rilievo oltre che lo spettacolare boccale di Elhafen proveniente dalla collezione del margravio di Baden, che dopo la sua vendita nel Canada ora per la prima volta è tornato in Europa.
 
 
La quinta e ultima sezione, L’apice del tardobarocco in Italia, ha come nucleo principale l’opera del grande Balthasar Permoser attivo a Roma dal 1675 e a Firenze al più tardi dal 1682. Anche per il Permoser l’esperienza italiana fu di fondamentale importanza: infatti fu colui che condusse lo stile enfatico di gusto tardobarocco, formato sulle opere di Bernini e Foggini, al di là delle Alpi, dove alla corte di Augusto il Forte re della Sassonia e della Polonia, diresse il cantiere più grande e influente che l’Europa settentrionale  e centrale avesse mai visto. 
Claude Beissonat, invece, di stanza a Napoli, inviò la maggior parte delle sue opere a committenti spagnoli. La sezione conclude con il personaggio di Johannes Sporer, scultore tedesco, che durante il suo viaggio di studio si innamorò di una bella romana e pertanto si stabilì nella Città Eterna dove scolpì copie dall’antico e figure di soggetti mitologici e anticheggianti sia in bosso che in avorio, varcando la soglia del primo neoclassicismo.
La mostra, ideata e curata da Eike D. Schmidt e diretta da Maria Sframeli, come il catalogo edito da Sillabe, è promossa dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo con la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Toscana, la Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico  e per il Polo Museale della città di Firenze, il Museo degli Argenti, Firenze Musei e l’Ente Cassa di Risparmio di Firenze.
Enel sostiene “Un anno ad arte 2013”,  e quindi questa mostra che ne fa parte, confermando l'attenzione per la valorizzazione culturale e artistica del patrimonio culturale e artistico della città di Firenze. Enel opera sul territorio fiorentino per coniugare l’innovazione tecnologica con la tradizione della cultura fiorentina e italiana, di cui questa iniziativa è espressione di grande spessore.
 

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