Con 8bit_un mondo a pixel, Ligama porta il pubblico in un mondo che, lo fa intuire il titolo, riproduce i meccanismi di scomposizione e dissoluzione dell’immagine in pixel tipici del virtuale digitale, ma con la maestria di chi conosce e sa usare i colori e la pittura. Lungo un percorso espositivo di circa 20 opere di medio formato, lo spettatore si imbatterà in ritratti, scene di personaggi umani e animali “pixelati” con acrilico, resine e tempera su cartone, che intuirà guardandoli a distanza, fino a riconoscerli interponendo un obiettivo digitale, lo schermo di uno smartphone, ritrovando con la ricomposizione retinica soggetti della grande tradizione pittorica, da Venerdì Santo e Adamo ed Eva, a Eucarestia, fino a riferimenti estremamente contemporanei come in Siamo a sud di Roma e Martirio a colazione (Uova liberamente tratte da un'opera di Marcello Berenghi) o riferimenti non privi di una certa ironia come in Lo scherzo di Giotto o Biancaneve è in pericolo.
Con composizioni di bilanciata nitidezza, che rompono in realtà la riproducibilità del digitale, e l’inserimento di alcuni elementi dipinti con l’espediente pittorico del trompe l’oeil, Ligama riesce a manifestare una riflessione sui nuovi canoni suggeriti dalle tecnologie odierne senza abbandonare la sua vocazione originaria: la riflessione sull’uomo e sulla sua storia, interrogativi universali e delicate suggestioni emotive.
L’indagine dell’artista prende dunque spunto da quesiti che diventano cruciali nella contemporanea virtualità delle immagini e di cui ci suggerisce possibili risposte coinvolgendoci attivamente. Lo esplicita bene il testo critico di Emanuela Zanon: come conciliare i tempi lunghi della pittura e la soggettività con il “voluttuoso regno digitale” in cui siamo immersi? A chi si rivolge la pittura e quali codici linguistici deve usare per leggere “l’inestricabile intreccio di illusorietà e pragmatismo che caratterizza le nostre nuove abitudini percettive e comunicative”?
Se l’accesso alle cose è ormai raramente diretto e la digitalizzazione pare averci regalato il prodigio della “presenza nell’assenza”, Salvo Ligama si avvicina alla resa del visibile riproducendo con la manualità degli strumenti pittorici proprio quella scomposizione cromatica in pixel che palesa la non corrispondenza dell’immagine virtuale al vero. I pixel sono per l’artista gli atomi di una nuova materia telematica e inconsistente, sono i pigmenti di una pittura che si sforza di essere contemporanea, sono un modo per avvicinarsi alle cose e per avvicinarsi alla storia. Allo stesso tempo costruire le cose “pezzo per pezzo” gli permette di analizzarne da vicino la materia, l’epidermide dell’immagine in una storia di adattamento dei pacati intermezzi della pittura alla frenesia e al frastorno della nostra era.
Il lavoro di Salvo Ligama, quindi, ben si inserisce nel folto gruppo di artisti che la galleria bolognese ha presentato dal 2014 – da 2501 a Nes Poon, da Paolo Ferro e Mattia Lullini, a Bambi Kramer, Nicola Alessandrini, OPIEMME, e prossimamente Giulio Vesprini e Gio Pistone: tutti street artists e illustratori particolarmente raffinati e personalizzati nel segno e nella definizione.